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La pozione dell’amore

di Francesca Ghiribelli

Una dolce ed eterea fanciulla chiusa nella sua stanza circondata dai fortificati merli di una torre soffre d’amore per il suo amato, mentre il mondo circostante combatte per un’era buia e sempre più misteriosa come il Medioevo.

Sì, quel periodo storico così oscuro e altrettanto favorevole nell’enunciare tesi o ipotesi varie su scoperte poi ancora rivelate impossibili e quasi folli: fra cui la ricerca della “pietra filosofale” che potesse possedere le doti della trasmutazione e “l’elisir di lunga vita” che potesse scoprire il segreto per un’esistenza molto più lunga o addirittura eterna.

Idee ignote e ancora oggi del tutto improbabili, ma il fatto che quella fanciulla soffrisse d’amore per un uomo che neanche la degnava di un solo sguardo era così ignobile all’epoca e talmente inaccettabile per l’orgoglio femminile che molte dame di corte o principesse ricorrevano a sotterfugi a dir poco assurdi che oggi potremo credere esistenti soltanto nelle favole.

Un tempo però era tutto vero e chissà che anche oggi qualche piccola e nascosta streghetta non si apparti da qualche parte a tramestare i suoi intrugli per far felice il cuore di una persona e magari farne soffrire al contempo un’altra.

Se ci soffermiamo a pensare potrebbe essere un ciclo di vita in cui le usanze possono essere messe da parte, ma in fondo mai dimenticate o magari semplicemente queste cose sono apparentemente stupide e inutili ai nostri occhi che sorridono incapaci di comprendere ciò che ha spinto a tali atti; poi però i ricordi di antiche formule leggendarie spuntano fuori da qualche angolo polveroso del tempo per riproporsi anche oggi a cercare egoisticamente l’onniscienza e la sapienza di poter avere gran parte del potere nelle nostre mani.

Vorremmo avere sempre con noi una specie di certezza nel poter controllare tutto ciò che ci circonda, ma se guardiamo la magia antica e molte altre arti dell’alchimia possiamo renderci conto che ciò che veramente fa muovere i fili della nostra vita è il destino.

Una parola che racchiude fatti improvvisi e a volte neanche desiderati o ciò che ci passa davanti e neanche ce ne accorgiamo, mentre è una vita che aspettiamo per conquistarlo veramente.

Questa è la vera “magia” che nessuno può comandare o redimere, nonostante la grande conoscenza del mondo e siamo come un mare di conchiglie portate a comando sulla riva che possono compiere liberamente le proprie scelte, ma queste ultime saranno sempre in qualche modo mosse dal fascino misterioso e sottile di un destino ancora sconosciuto.

Da sempre quelle fanciulle fino ad arrivare a persone odierne sono andate cercando per mano di fattucchiere o vere streghe le pozioni per un amore eterno fatto solamente delle briciole di quella onnipotenza esaustiva che non potrà mai essere infinita, perché un sentimento non si compra a piacimento.

L’amore non ha bisogno di pozioni o strampalate formule magiche, perché basta conoscere inconsapevolmente il segreto del cuore e della paziente convinzione che nessun uomo o nessuna cosa sono eterni, ma l’unico compito che ci spetta è saper trasformare la vita in un lungo elisir dell’anima.

Una strada più lunga possibile senza chiederci quanto lo sarà, ma cercando di amare colorando i buchi neri della vita con una dorata polvere di stelle: il vero oro del nostro essere mai conquistato da nessuno, ma condiviso soltanto dal bacio che il cielo promette al nostro destino.

È come la caduta di una piuma sopra il cuscino che allieta il sonno nel letto di un bambino, poi il bambino crescerà e un uomo diventerà soltanto quando una piccola goccia nel mare dell’amore finalmente berrà.

Francesca Ghiribelli

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Figlia dell’estate

di Francesca Ghiribelli

Socchiudo la finestra, quando il sole si innamora del gioco di luce che il mare antepone alle onde; smeraldi di prato vezzeggiano l’armonica ombra di un salice il quale poggia silente sulla sponda di un lago addormentato.

Sono dentro a questa veste ridente piena dei respiri spinosi delle rose di maggio, mentre inumane forme aleggiano tempesta nel vento di un’improvvisa stagione.

Un dolce migrare di voci nel cielo acclama ridente il sorriso imbronciato delle nuvole; così quando tutto si riempie di silenzio arriva il frizzante mietere di un’ape nell’aere, mentre i fiori vengono derubati del loro prezioso incenso.

È frettoloso questo tempo immemore che ogni anno ci delizia del tepore con cui il rossore di una guancia parla di ciliegia e il mite sapore di un’anguria accende di frescura il cuore del solleone.

Canto di strana gioia il giungere di quella piccola e breve rinascita, da cui l’inverno prende distanza; cullo i sogni dell’interminabile grido delle cicale tra le braccia degli alberi, per poi farne così storia dipinta sulla sabbia di una spiaggia incontaminata dalle bramanti conquiste dell’uomo.

Già, adesso non voglio essere quell’uomo; desidero soltanto essere vita su questo bruciante oro impreziosito dalle ghiaie colorate dell’oceano, dirti tutto ciò che non ho mai visto della tua straordinaria immensità, riposare tra le verdi palme di un’oasi perduta tra i capricci dell’anima e viverti ogni giorno, come un nuovo attimo di questa vita.

Sentirti sempre più vicino, mentre il tramonto si appropria del mio essere, rubandomi i colori che la notte non mi concederà; voglio soltanto stringerti tra le mura dei miei pensieri e portarti con me per sempre, anche quando fiocchi di neve geleranno l’ultimo battito di sole, così avrò trovato l’eterno amore per il mondo.

Ero qui che cercavo la mia strada, ora l’ho trovata tra le ciglia di un arzillo girasole che arricchisce la terra del tuo sapore.

Sì, sono gemma di un fiore non ancora colto, quando l’universo ti inventa, baciando l’emozione di una conchiglia appena schiusa.

Adesso so amare il bianco vuoto di una lettera mai scritta:

la dedico a te, madre natura, sono figlia dell’estate.

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Fra le pagine di un sogno

di Francesca Ghiribelli

Fuori piove. Sugli immobili attimi di un pensiero bagni il cuore di desiderio; innamorando l’anima di un istante prezioso, come la miniera della vita, custodisci l’oro più bello in questa briciola di universo.

Quante mani aggrappate al pianto di una lacrima abbandonata sulla riva del perdono, hanno graffiato di ricordi l’immenso amore di questa esistenza; abbiamo cercato l’inconsapevole senso di una memoria trafitta dagli sbagli, per poi farla rinascere fra i petali di un nuovo fiore, chiamato speranza.

Silenziosi sguardi hanno fatto tremare di emozione lo sfuggevole respiro di un bacio appena accennato: quante labbra hanno soltanto sognato ciò in cui l’orgoglio ha navigato nel piccolo grande angolo di un mare chiamato cuore.

Dubbi hanno nascosto fra gli scaffali impolverati di un rimpianto le tenere voglie di quell’anima rimasta ancora bambina che è lì sempre in attesa di essere scovata dal primo sorriso di una notte d’estate.

Gli occhi verdi di un lago che ci sussurra di far ritorno nel luogo degli amanti, mentre la familiarità della vita ci imprigiona nel docile abbraccio di una chimera.

Ti ho vissuto amando il profumato e celestiale sentimento con cui il tempo brucia il nostro tormento.

Ho sentito la tua voce, sperduto mondo, mentre tu mi hai trovato ancora prima che io sapessi della tua esistenza; vagando fra le prime ciglia di un sole appena sorto, ho immaginato la vivace corolla di margherite mai colte sull’impervio sentiero di un libro, il quale ho scritto fra le pagine di un sogno…

Fra voci d’inchiostro, ho sentito il battito di un foglio, viverti di magico sogno…

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La voce delle fate

di Francesca Ghiribelli

La dolce storia di due leggiadre e possenti libellule che volano frettolose a pelo d’acqua, portando a spasso due paffuti gnomi, che innamorati del cielo, sgombrano le nuvole con i loro pensieri, viaggiando fra le inchinate chiome di sprimacciati e delicati fiori di caprifoglio. Essi fan da divertenti liane agli abbracci del bosco, mentre piccole e minute coccinelle salgono e scendono i tronchi di un grande e vecchio faggio, cercando l’irraggiungibile infinito negli occhi verdi smeraldo di una terra, ancora fantasticamente sognante.

Brillanti lucciole accendono il cuore della foresta, nel tacito riposare delle formiche sui sassi, mentre una civetta rivive nel suo sguardo il tepore del sole, ormai scomparso: le venature di un fuoco d’artificio, non ancora spento, che dal nascere delle ombre crea un faro nella notte.

La vita è ancora tutta da vivere per il bosco, perché l’oscurità è il silenzio del giorno, dove le parole sono scritte dal magico sussurrare degli elfi, accompagnati dai loro campanellini. Loro spiano il regno circostante e si impossessano del sorprendente risplender di una stella, ne fanno la carrozza più bella per andar a prendere la creatura più divina della foresta; con i loro cappellini a barchetta e piccoli orecchini dalle gocce d’argento, si imbarcano fra le vie più impensate che il cielo possa inventare e attendono di veder apparire sulla scia della luna, la forma di una preziosa perla farsi snella, mentre un’avvolgente chioma scende sulle spalline di un minuscolo abito di ninfea. Docili foglioline increspano la sottana, dove spuntano agili gambe che danzano al tempo di una sinuosa danza, fatta di ali di una velina colorata.

I silenziosi campanellini gioiscono alla loro vista, poi gli elfi, un po’ intimiditi, fanno salire sulle loro dorate carrozze quei piedini intinti nel latte di luna e partono alla volta di un viaggio la cui meta sarà scritta soltanto dalla fantasia.

Sembrano tanti fantasmini che illuminano la nera trapunta del cielo, poi il cuore del bosco sbadiglia, sorprendendosi di quella scintilla che porta dietro di sé cotanta meraviglia; le creature della terra rientrano nelle loro tane, facendo ricordo di quell’indimenticabile attimo, rifugio di un sogno.

Uno scalpitio lontano ingrazia il tintinnare di un trepido sonaglino, adesso è in procinto di giungere fino al letto di un bambino: lì racconterà come le favole, possano ancora esistere in un piccolo angolo di mondo.

Come le fanciulle possano ancora intingersi i capelli nella polvere di una stella e rubare al cielo una timida goccia di luna, perché al calar della notte ancora tutto può succedere… basta saper ascoltare lontano una melodia fugace… soltanto allora saprai che è la voce delle fate.

Francesca Ghiribelli

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Una formica nel mondo

di Francesca Ghiribelli

Fra le sconfinate perle di rugiada in un prato diventiamo le struggenti lacrime del cielo, poi ci abbandoniamo al rumore del mondo e per un secondo respiriamo del vento l’infinito girotondo.

Chi sono quelle sperdute anime nere che si confondono con la sera? Esse portano quei piccoli tesori fra le briciole dell’indifferenza di chi neanche di avere un sogno si accontenta.

Siamo il velo grigio di una nuvola, che si denuda nelle grida di un temporale, mentre tra i fili di quell’erba c’è chi lavora di fretta per raccogliere anche soltanto una goccia di quel pianto.

Quella piccola e timida figurina costruisce pian piano il presente intingendo il cuore di una speciale previdenza e di solido amore; la farfalla si nasconde fra i colori di un fiore, mentre il bruco si interpone tra le scaglie di una corteccia punteggiata di sole, poi un’ape si meraviglia di come la luce possa colpirla mimetizzando la sua variegata giunchiglia… invece lei, proprio lei, mai si giustifica e di lavoro è incoronata regina!

Noi potremmo essere come quell’esile tubino nero provvisto di antenne che si appresta a dar vita a una reggia, ma restiamo qui quasi meravigliati di quanto un nostro piccolo passo non significhi niente di fronte al suo grande atto.

Siamo assurdi lamenti che il vento dal mare porta lontano, mentre potremo diventare l’alto grido di una società portante, come quelle invisibili scolarette che corrono più di un aliante.

Dovremo far più attenzione a non calpestare l’immensa anima di quel piccolo grande villaggio pieno di volontà, perché noi non ne possediamo neanche la metà.

Esse brillano di velluto fra lo smeraldo di un’erba adagiata sulla terra rossa della loro casa: sembrano tante lucenti stelle posate tra lo stordire dei grilli e il veloce balzo di una rana che agile si allontana.

Noi, invece chi siamo? Siamo il lento ozio dell’afa di un giorno d’estate, mentre quel diligente esercito si fa onore fra la gente e medita un importante proposito per il giorno seguente.

Noi non sappiamo neanche che faremo e dove arriveremo, ma la cosa essenziale di questo sorpreso girotondo è che abbiamo tanto da imparare da una piccola formica nel mondo.

La nostra grandezza è la povertà di un’anima senza il sogno acceso di una stella, mentre quella minuscola lucciola di ardesia possiede un’immensa storia da raccontare.

Una formica ha tanto da regalare, laddove l’uomo non riesce a dare.

Francesca Ghiribelli

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Utopia

di Francesca Ghiribelli

Sentirsi dire “non andare” è utopia, provare a lasciarsi “volare” è utopia e dirsi ti amo, a volte, diventa utopia. Librare le ali di un affetto è un’utopia; sognare dentro al letto è utopia. Far nascere il mondo meraviglioso è utopia; prendersi la mano per poi allontanarsi con il timore di amare troppo vicino è utopia.

Che dirti? Mentre il cielo si scolora e il bacio di una nuvola accarezza le coltri del pensiero, anche quella è utopia. Sussurrarsi piano piano di voler scappare è l’utopia di una corsa in mezzo al mare. Dentro di me vorrei dirti tante di quelle cose, e l’utopia di un raggio di sole brucia le parole. Cosa vuoi che sia, se la dolcezza di un istante viaggia sui binari del sognante e fa diventare un’utopia la realtà stancante?!

Cosa scrivere su questo foglio? Quando non ho ancora scartato l’utopia di questa vita vera che canta alla giornata una serenata, che asciuga una fronte già sudata.

Vorrei cantare una canzone che musicasse i sorrisi di un bambino, la sola utopia per disegnarti nel mio giardino. Quanti occhi hanno guardato oltre la soglia del tempo per raggiungere la fantasia anche solo per un momento!

Quanti destini hanno sfidato l’improvviso pianto della pioggia, quando l’arcobaleno sembrava ormai arrivato… chissà se un giorno potrò chiamarti l’utopia del credere che qualcosa esista oltre la fede, che questo cielo possa scrivere un passo di infinito nella storia del tuo paradiso.

Non so come altro definire questa vita che dipinge lacrime e sorrisi sui muri dei rimpianti e fra i momenti importanti, vorrei soltanto vivere in eterno il coraggio di poterti rincontrare ancora tra i capricci del tempo, tra le rose di maggio e i freddi sospiri d’inverno, mentre l’autunno intingerà di rosso l’argento vivo di due guance che l’estate chiamerà amore.

L’amore per questa “utopia”, che ti farà sentire per sempre mia, come il cuore fa con la poesia.

Francesca Ghiribelli

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Il romanticismo è il sogno esaudito da coloro che amano

di Francesca Ghiribelli

Quante volte abbiamo sognato l’arrivo del principe azzurro, di abitare in un castello fiabesco e vivere sempre felici e contenti? Penso lo abbiano fatto anche le persone meno smielate di immaginare una vita senza problemi, dove il bene e l’amore siano gli unici e veri regnanti in eterno.

Io però vorrei rovesciare per un attimo questo specchio “disneyano” e cercare di riflettere quella stupenda favola nella vita reale: è ovvio che non ci siano principi celestini e perfetti in sella a un cavallo bianco pronti a salvarci in ogni momento di difficoltà oppure un meraviglioso castello fatato dedito a difenderci da qualsiasi pericolo esterno, ma se ci soffermiamo anche solo per un istante possiamo pensare a quanto possa essere perfetta nella sua imperfezione la vita, se soltanto la guardassimo per come deve essere veramente vissuta. Le mie sono parole semplici e arrivano dal cuore e dall’anima.

La vera radice del romanticismo è quel “male di desiderio” attraverso il quale un giorno vorremmo staccarci dalla realtà per far diventare l’irraggiungibile infinito del mondo tangibile anche solo per un attimo. L’immensità dell’universo non si trova conquistando il mondo, ma riuscendo a carpire i messaggi che il cuore scrive all’anima e viceversa, soltanto così potremo veramente comprendere lo scopo che abbiamo su questa terra; infatti non dovremmo cercare il nobile e perfetto principe azzurro della nostra vita o l’arcano castello che alla fine ci avvolga nella sua preziosa gabbia dorata senza pericoli, ma dobbiamo soltanto capire dentro di noi cosa vogliamo e soffermarci molto di più ad apprezzare le piccole cose che ogni giorno l’esistenza ci regala. La stretta della piccola e fragile mano di un bambino, il bacio premuroso e affettuoso di un madre e di un padre, lo sguardo antico e saggio di un nonno e l’abbraccio costante di chi si ama sono davvero l’autentico romanticismo che non ci accorgiamo di avere ogni giorno, ma che abbiamo la possibilità di avere al nostro fianco: sta a noi godercelo e farne tesoro continuamente.

È inutile cercare l’impossibile, quando esso è nascosto dentro ciò che in ogni attimo noi stessi possiamo far diventare possibile. Il romanticismo di questo mondo è facile da trovare: basterebbe riuscire a cogliere l’occasione giusta per dimostrare agli altri e a sé stessi l’amore che anche soltanto con un gesto o con una parola potremo essere capaci di dare. L’inchiostro del romanticismo e di ogni forma di sentimento sta nelle nostre mani, resta a noi scegliere di usarlo con le persone che ci amano e che amiamo a nostra volta per colorare la vita di quella magia con cui “l’apparente lontananza e irraggiungibilità dell’infinito” ci fa sognare.

Francesca Ghiribelli

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Fra i petali di una poesia…

di Francesca Ghiribelli

Variopinti intarsi di memoria riaccendono la voce di un senso; sembrano tanti piccoli coriandoli di un tramonto che sfamano l’ombra di un rimorso, e se sto in silenzio mi ritrovo a passeggiar nel vento, dove i fili di una lontana primavera pervadono il mio pensiero.

Mi intriga la lettura di questo verso interiore che riscopro nella pagina, su cui il cuore fa da segnalibro all’anima; scandisco i respiri sulle onde di un mare che ha liberato tempesta nei misteriosi messaggi in bottiglia che ho inviato al cielo.

Sono naufraga di una bolla di sapone che il sole trasforma in vetro, imprigionando la mia ispirazione fra le timide labbra di un amore narrato sottovoce; sono zingara di un infinito viaggio orfano di meta, ma la magica creazione di un tuo arrivo mi desta, facendo restare accesa una stella.

Quel mitico astro inconsapevole di futuro e passato che vive uno straordinario presente: l’attesa di una tua rima impigliata tra le dolci arpe di un usignolo, il suo memore incontrarsi con la vita e il suo affascinante morire sul foglio, dove rinasce ancora più preziosa di un diamante.

Mi fai credere che sia io a intessere gli orli del tuo essere con la candida orma del tuo lenzuolo, mentre cerco soltanto di impreziosire la tua veste dei colorati bottoni che le nuvole rubano all’arcobaleno; sorprendendomi ogni volta al tuo fianco intraprendo un nuovo percorso e ti sento indelebile tra i confini del tempo.

Una parola la scrive il cuore, mentre l’anima inconsapevole firma segretamente quella pace fatta di silenzio tra realtà e sopravvento… gli occhi sorridono della gioia che soltanto la fantasia può inventare e custodisco gelosamente questi umili versi scritti sul tuo taciturno pazientare.

Adesso, fra le gelide braccia della neve… due curiose rondini un po’ imbarazzate giungono in arrivo, mentre nel frattempo rileggo ciò che è stato scritto fra i petali di una poesia.

Francesca Ghiribelli

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Io non sono “scrittore”

di Francesca Ghiribelli

Io non volevo far lo “scrittore”, volevo solo usare il cuore. Non volevo scrivere rime gaudenti per accender il cuore di tormenti. Non volevo superare l’infinito scrivendolo in un rigo. Non volevo assaporare le stelle immaginando i loro occhi sulla tua pelle; non avrei neanche voluto sentirti mio, caro foglio, perché se ci penso e ti scrivo non voglio far ritorno.

Sì, non voglio far ritorno nella reale circostanza di un mondo che non vede più in là del suo sogno.

Se soltanto tutti vedessero ciò che vedo io, mentre il sole va e torna, mentre osservo la luna che mi parla nell’assonnato risveglio della notte, mentre tutto nella vita scorre.

Scorre il fiume, l’anima respira e muore, i capelli crescono e cadono, il talento incontra l’occasione oppure scivola via dietro un portone, ma un “per sempre” scritto agli angoli del mondo per me diventa tutto. Un limitato infinito di due parole scritte e amanti dello stesso uomo e della stessa donna, mentre tutto il resto è sordo e non ascolta. Io invece son qui che ti sento, piccolo grande battito di luce dalla voce fioca, che tarda ad arrivare per la troppa paura di cominciare. Ma io inizio e non mi dai pace finché non trovo la giusta sintonia che le sonore risa delle sillabe cercano nel vento dei ricordi. Non ti accorgi del soffice manto, con cui mi stringi al tuo fianco e dove io affondo con incanto. Non voglio chiamarti “scrittore”, dolce e abbandonata anima di sogni attaccati all’amo di un giorno, perché non è soltanto un giorno, quel momento in cui mi stai accanto senza chiedermi niente, ma rivesti ogni mio “forse” di “sempre”. Soltanto un mistico silenzio animato da un sorriso sfuggente che si chiama ispirazione.

Sublime sospiro di serena ombra, dove riscopro il sole nascosto in me. E lì divento re di quella radura, in cui non c’è fame, non c’è guerra, ma c’è soltanto pazienza.

Non sono “scrittore”, non sono “paroliere” né “poeta” o “scribacchino”, so soltanto che la ferma penna che stringo mi fa tornare bambino. Perché non serve un mondo di scrittori, letterati o saccenti specializzati, qui abbiamo bisogno soltanto di occhi veri e cuori sinceri. Di chi non ha timore di parlare con la dolcezza di ieri e di toccare con la tenerezza del domani.

Ecco, io riesco a farlo scrivendo. E io ti bacio, adorato foglio, affidandoti i miei dubbi che tu leggerai certezze.

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Il “giardino della ragione”

di Francesca Ghiribelli

Se partiamo dagli antichi fondamenti del Settecento possiamo analizzare innumerevoli esempi in cui la ragione è diventata sovrana!

Se riflettiamo bene, però ci rendiamo conto che ancora oggi alcuni di noi non hanno il coraggio di uscire dal loro “stato di minorità”: il termine in cui Kant trovava la vera chiave di spiegazione per far capire veramente il significato di Illuminismo. Quante volte ancora oggi un individuo si fa “comprare” in una situazione di allettante vantaggio o forse solo per la paura di essere minacciato da comportamenti altrui? Ma dovremmo imparare quella stessa capacità che prima di noi hanno avuto molti uomini nell’affermare che la vera “Età dei Lumi” fosse quella in cui una persona sapesse utilizzare al meglio il proprio intelletto per motivare ogni sua azione senza l’aiuto di nessun altro.

Quante volte la ragione sembra essere andata contro la Chiesa? Ma se Dio, creduto semplicemente l’essere regolatore dell’universo, ci ha donato un singolo cervello per pensare e trarre conclusioni singole, perché allora farsi influenzare dagli altri in ogni parola o decisione?

Dovremmo trovare non soltanto l’intelligenza di poter pensare da soli, ma anche il coraggio di rispondere di noi!

Quanti efferati supplizi o gesti ignobili sono stati compiuti soltanto per fare un favore ad altri o a causa di quella invalicabile cecità che non permette all’umanità di contribuire con il proprio singolo pensiero giustamente alla vita!

Qui ritornano nel silenzio dei secoli quelle tre chiavi di lettura che la lontana Rivoluzione Francese ha cercato di regalare a ogni uomo, però non arrivando sempre a buon fine. 

La libertà, quella dolce e sinuosa aere che scioglie l’anima e libera ogni tipo di riflessione alla vita; l’uguaglianza in cui tutti di fronte alla legge potremmo essere giudicati e puniti equamente, anche davanti a un semplice sguardo interrogatorio che l’esistenza ci pone; la fratellanza, l’unico modo di vedere le cose attraverso gli occhi che leggono il sapere con estrema tolleranza e giovane altruismo.

È proprio tutto questo che potrà in futuro renderci liberi, uguali e fratelli!

Mi piacerebbe innaffiare ogni giorno il piccolo grande “giardino della mente” che si disseta di ragione, quella ragione fatta di promesse e di compromessi con la coscienza di noi stessi.

Fare un grande giro del mondo attorno alle viandanti e immemori strade dell’anima per poter abbracciare un attimo ciò che la lucidità e l’intelligenza ci regala stringendo un robusto nodo con il cuore.

Dovremmo solamente fondere la vera fede in noi stessi e in Dio senza nessuna prova scientifica o empirica, poi facendo volare l’istinto attraverso un timido coraggio e farlo unire all’esperienza che la vita ci racconta: ecco tutto questo piccolo grande progresso ha portato nei secoli a cancellare il vero buio del Medioevo o di ogni altra era nascosta alla verità della ragione e della sapienza.

E l’Illuminismo non ha derubato quelle epoche del loro affascinante mistero, ma ne ha arricchito il loro evolversi nella scoperta di infiniti enigmi pieni di onnipotenza.

Badate bene però che nessuna epoca o corrente filosofica ha il completo diritto di regnare incontrastata sulla nostra coscienza o sulla nostra laboriosa e indulgente mente, ma siamo noi stessi che dovremmo mettere all’opera il mondo per venirci incontro l’uno con l’altro senza mai pretendere la vera e completa conoscenza delle cose.

Siamo noi a poter accrescere o indebolire la nostra intelligenza colorando di toni scuri o chiari il meraviglioso “giardino della ragione” ricordando sempre che la nostra sapienza deve essere ben curata e dedita alla giusta consapevolezza di sé.

La nostra ragione è l’unica medicina veramente appropriata per far respirare d’aria nuova il mondo.

Francesca Ghiribelli