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L’eredità morale di Giovanni Falcone

di Martina Paolantoni

Le poche parole che seguono, non vogliono essere l’ennesimo ricordo di due persone che hanno lasciato il segno, bensì una raccolta di pochi pensieri di un cittadino del Mondo. Definirlo Italiano o Europeo sarebbe riduttivo, non per elogiarli ma solo perché è giusto ricordare che il modo di approcciare alla “materia oscura”, è stato portato, insegnato e apprezzato anche oltre oceano. Questo, permettetemi di dirlo con orgoglio e senso di riscatto nei confronti di chiunque giudica il Nostro Paese e Popolo marci. L’FBI ancora elogia Falcone con foto e monumenti nella sede centrale: oltre a essere un coraggioso avversario della mafia è stato uno dei primi sostenitori della cooperazione nella lotta al crimine organizzato. Probabilmente solo Uomini nati e cresciuti in quei luoghi, che conoscono gli sguardi, i gesti, le parole e molto più acutamente i silenzi, potevano avere le capacità e menti ancor più raffinate dei loro avversari per sciogliere il bandolo della matassa. Certo, farei un torto a ricordare che abbiano fatto tutto da soli, come nelle migliori storie la vittoria è di squadra. Giudici, forze dell’ordine, persone fedeli a valori e ideali, di qualsiasi paese pronte a rinunciare a qualunque cosa, anche al bene più caro che ci è stato donato. Nel ’92 da bambino faticavo a capire cosa fosse successo. Dopo tanti anni penso sia necessario scavare e andare oltre le stragi che fanno parte della Storia. Scavare non per portare alla luce la verità storica e/o processuale, o più semplicemente per non dimenticare. Scavare dentro ognuno di noi. Da giuristi si potrebbe restare colpiti come Falcone e Borsellino abbiano cambiato non solo il modo di sensibilizzare il resto del Mondo al fenomeno comune della mafia, ma anche riguardo l’innovazione del diritto penale e della procedura penale: creare Istituzioni, dipartimenti all’interno del sistema giudiziario e delle forze dell’ordine e prevedere leggi ad hoc. Chi ha costruito tutto questo con loro racconta che all’inizio degli anni ’90 non avevano nulla, solo un pezzo di carta per progettare la DIA. Tutto questo ormai è storia, ci hanno lasciato le basi, l’eredità per migliorare e affinare il lavoro che non sono riusciti a concludere, ma questo riguarda soprattutto gli “operatori” del settore. Ma chi non fa parte di questa nicchia, su cosa può ragionare e scavare? “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. Sono parole che personalmente tuonano ancor più forti di qualsiasi sentenza di condanna di delitti efferati. Non siamo in Tribunale, non sono rivolte all’imputato ma a tutti noi. Questa è l’eredità che ci accumuna e deve rappresentare la nostra bussola quotidiana. Probabilmente, il fine del sacrificio di Uomini come loro non risiede solo in sentenze di condanna passate in giudicato nei confronti del crimine organizzato, ma specialmente nella speranza di smuovere gli animi ricordando che le persone passano ma i loro ideali continueranno a camminare sulle gambe di altri.

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Io non sono “scrittore”

di Francesca Ghiribelli

Io non volevo far lo “scrittore”, volevo solo usare il cuore. Non volevo scrivere rime gaudenti per accender il cuore di tormenti. Non volevo superare l’infinito scrivendolo in un rigo. Non volevo assaporare le stelle immaginando i loro occhi sulla tua pelle; non avrei neanche voluto sentirti mio, caro foglio, perché se ci penso e ti scrivo non voglio far ritorno.

Sì, non voglio far ritorno nella reale circostanza di un mondo che non vede più in là del suo sogno.

Se soltanto tutti vedessero ciò che vedo io, mentre il sole va e torna, mentre osservo la luna che mi parla nell’assonnato risveglio della notte, mentre tutto nella vita scorre.

Scorre il fiume, l’anima respira e muore, i capelli crescono e cadono, il talento incontra l’occasione oppure scivola via dietro un portone, ma un “per sempre” scritto agli angoli del mondo per me diventa tutto. Un limitato infinito di due parole scritte e amanti dello stesso uomo e della stessa donna, mentre tutto il resto è sordo e non ascolta. Io invece son qui che ti sento, piccolo grande battito di luce dalla voce fioca, che tarda ad arrivare per la troppa paura di cominciare. Ma io inizio e non mi dai pace finché non trovo la giusta sintonia che le sonore risa delle sillabe cercano nel vento dei ricordi. Non ti accorgi del soffice manto, con cui mi stringi al tuo fianco e dove io affondo con incanto. Non voglio chiamarti “scrittore”, dolce e abbandonata anima di sogni attaccati all’amo di un giorno, perché non è soltanto un giorno, quel momento in cui mi stai accanto senza chiedermi niente, ma rivesti ogni mio “forse” di “sempre”. Soltanto un mistico silenzio animato da un sorriso sfuggente che si chiama ispirazione.

Sublime sospiro di serena ombra, dove riscopro il sole nascosto in me. E lì divento re di quella radura, in cui non c’è fame, non c’è guerra, ma c’è soltanto pazienza.

Non sono “scrittore”, non sono “paroliere” né “poeta” o “scribacchino”, so soltanto che la ferma penna che stringo mi fa tornare bambino. Perché non serve un mondo di scrittori, letterati o saccenti specializzati, qui abbiamo bisogno soltanto di occhi veri e cuori sinceri. Di chi non ha timore di parlare con la dolcezza di ieri e di toccare con la tenerezza del domani.

Ecco, io riesco a farlo scrivendo. E io ti bacio, adorato foglio, affidandoti i miei dubbi che tu leggerai certezze.

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La Pasqua è la luce di chi soffre

di Francesca Ghiribelli

Che cos’è quella finestra aperta sul mondo che sorride di sole anche quando scende il buio?

È la voce invisibile di quel qualcuno che dipinge anche l’oscurità con ogni colore: c’è il rosa per la bellezza, l’azzurro per la misericordia, il giallo della tolleranza, il bianco della purezza e il verde della speranza per un’alba di una nuova stanza.

Lo Spirito del Signore è sceso sulle nostre anime per perdonarci di averlo crocifisso a causa di un peccato mai realizzato. Il dolore di quell’uomo ha fatto sgorgare lacrime dal mondo, c’è chi ne ha fatto tesoro scegliendo di rimediare o togliere un po’ di quel sale da quelle lacrime così amare, mentre altri da orribili errori e dalle peggiori azioni si fanno ancora tentare.

Non è servito l’amore di quell’uomo a renderci degni della vita, perché c’è chi la vita la accartoccia come un foglio bianco ancora tutto da scrivere insieme alle centinaia meraviglie del mondo.

C’è chi toglie all’altro il respiro di un’esistenza solo dedita all’amore e alla riconoscenza, la spezza con un taglio netto in nome dell’odio e del disprezzo. Ma cosa ci ha insegnato quell’uomo sulla croce che da Dio è nato? Aiutare il prossimo sempre e comunque, perdonare chi investito dal demonio ha fatto del male, ma noi in fondo che abbiamo fatto per amare così tanto questo mondo che solo colui che abbiamo sacrificato ci ha dato?

È così meraviglioso poter abbracciare una persona e coltivare il nostro cuore come se fosse una terra da rendere sempre migliore, ma purtroppo tutto questo astio e rancore ci porterà alla distruzione dell’unico sentimento che regge ancora questo universo.

Perché non colorare del dolce color pastello di un uovo di cioccolato l’alba di una giornata appena arrivata? Può sembrare semplice dirlo con una penna, ma se ci guardassimo dentro e sapessimo veramente amare per quello che siamo e non per quello con cui dovremmo apparire allora esisterebbe sempre una carezza a pieno viso, una piccola caramella racchiusa in una mano da offrire a chi soffre e a chi vive lontano. Sarebbe tutto più magico e leggero vedere con gli occhi di un mondo più vero e chissà che anche la Santa Pasqua non divenga molto più sacra e sincera con la misericordia di quella mano che sembra straniera, ma che da lassù ci veglia mattina e sera.

È una morbida coltre che ravviva la preghiera di vivere la gloria di questo giorno con speranza e capire che c’è bisogno di tolleranza e che di essa nessuno ne avrà mai abbastanza.

È gioioso alzare gli occhi pieni di tristezza, farli volare sulle ali di una colomba e dipingerli di purezza quando fa ancora capolino un piccolo rametto d’ulivo che augura a tutti senza distinzione una pace solenne in nome dell’amore di chi ancora di fronte alla totale indifferenza sa ciò che vuole.

Il Signore ci ha offerto ulivo benedetto senza giudicare chi lo meriti veramente, perché di fronte a lui: «Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi».

Nessuno è perfetto, ma agli occhi di Colui che ci ha dato la vita siamo tutti uguali e la Pasqua è la luce di chi soffre.

Francesca Ghiribelli