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SUPERBAROCCO: LA FORMA DELLA MERAVIGLIA

di Martina Paolantoni

“Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco” è il titolo della mostra-evento in programma a Roma dal 26 marzo al 3 luglio alle Scuderie del Quirinale, per celebrare lo straordinario periodo di esplosione artistica e di fioritura economica della città di Genova. L’arte barocca nasce a Roma, ma ben presto il modello romano si espande in tutta Italia: Lecce, Napoli, Torino, Genova, e da quest’ultima in tutta Europa. La corrente artistica ha una tale diffusione in Liguria tra ‘600 e ‘700 che ancor oggi si parla di barocco genovese.

Il percorso espositivo e ricco di più di 120 prestigiose opere, e attraversa le tele di Rubes e Van Dyck, passando tra le pennellate manieristiche di Strozzi e quelle opulente del Grechetto, sfiora le visioni di Procaccini, fino ai fantastici panorami di Magnasco. Curato da Piero Boccardo, Jonathan Bober e Franco Boggero, rappresenta un lavoro corale e congiunto tra il museo capitolino, la National Gallery of Art di Washington, i musei di Genova e preziose collezioni private, che eccezionalmente hanno acconsentito al prestito dei capolavori di età barocca.

Ma cosa è il Barocco? Nessuna parola in uso nella storiografia artistica è stata oggetto di controversie etimologiche e concettuali tanto quanto il termine “barocco”. Le proposte più autorevoli sostengono la derivazione da un sostantivo italiano barocco per definire una forma di sillogismo assurdo ricercato; e l’aggettivo francese Baroque con il significato di stravagante fuori dall’ordinario derivato dai gioielli portoghesi spagnoli[1]. In ogni modo è quella stagione dell’arte, tra sei e settecento, segnata dalla opulenza delle forme, linee sinuose, aperte e mai costanti in massimo movimento. I grandi artefici del barocco non avevano intenzione di porsi in antitesi con il mondo rinascimentale né di cancellare il bagaglio artistico esistente, ma, con espressioni artistiche non codificate e conosciute, proponevano la nuova visione dell’arte che affascinava e persuadeva i committenti e il pubblico .

La spinta dinamica arriva da Peter Paul Rubens, pittore fiammingo che soggiornò a Genova tra il 1604 e 1608, al quale è dedicata la prima parte della mostra. Nei suoi dipinti le offerte stilistiche del barocco dialogano con il linguaggio pittorico precedente ed anticipano quello che sarà il barocco genovese. Esempio di questo dialogo è il “Ritratto equestre di Giovan Carlo Doria”grande mecenate genovese del XVII secolo, seduto fieramente a cavallo, prerogativa dei sovrani. Ma tutto era possibile in un tempo in cui la città era al massimo del suo splendore e della fioritura economica.

Una delle cifre stilistiche dell’arte barocca diviene il ricorso agli strumenti teatrali, come le macchine sceniche, i testi, le coreografie, i gesti e gli atteggiamenti da palcoscenico, usati come mezzo di comunicazione più persuasivo per marcare il continuo scambio tra teatro e vita, tra finzione e realtà, anche in occasione di ricorrenze e avvenimenti particolari. Van Dyck. allievo di Rubens, trovò una delle sue massime espressioni nella stagione nella ritrattistica genovese. Lavorò per le più importanti famiglie patrizie di cui rimangono importati ritratti tra i quali quello i ritratti di “Anton Giulio Brignole-Sale” e “Paola Adorno Brignole-Sale , e quello di “Agostino Pallavicino in veste di Ambasciatore al pontefice”: ritratto con lo sguardo deciso con  l’abito rosso e preziosi anelli simbolo del potere. Superbo il ritratto di “Elena Grimaldi Cattaneo” del Anton Van Dyck: severa nel suo abito scuro ravvivato da una importante gorgiera e dai polsini rosso come l’ombrellino rosso, e sullo sfondo appaiono le rovine quasi come una quinta teatrale.

Uno dei tratti caratterizzanti della mentalità barocca é la combinazione tra l’immaginazione esatta e l’effetto sorprendente, che assume diversi nomi (adeguatezza, concettismo,  Wit), e trova la più alta espressione nelle audaci visioni mistiche con gli eccentrici apparati decorativi di Procaccini, che all’inizio del seicento operava ammiratissimo a Genova. Qui lasciò opere che servirono a tutti i genovesi come dimostra il Piola.

Il legame più documentabile della mostra, infine, sembra rimanere la rispondenza delle reazioni artistiche alle esigenze della committenza. Gli artisti assecondavano l’allineamento ideologico, la visione del mondo ed il fine edificante della famiglia o della curia. Fra i brillanti talenti locali  Strozzi. Nel suo dipinto “La Cuoca” (1625), considerato uno straordinario prestito. Primo artista ad assorbire le influenze dei fiamminghi.  si distingue per i soggetti biblici.

Il fasto e il lusso declinati con grande determinazione dalle nobili famiglie genovesi all’interno delle loro dimore sono rappresentanti negli straordinari dipinti; ricchi di particolari e suppellettili di Giovanni Benedetto Castiglione, detto Grechetto. che si formò proprio presso le botteghe di Giovanni Battista Paggi, Giovanni Andrea De Ferrari e Sinibaldo Scorza, poco dopo che Van Dyck aveva lasciato la città. De Ferrari dapprima risente dello stile manieristico dello Strozzi, suo maestro, poi fece propria l’importante lezione lasciata da Van Dik, del quale studia a lungo i ritratti.

Con gli esperimenti di controluce nella pittura di interni di Gioacchino Assereto, puntò al recupero di una propria visione, sollecitata, per un verso, da prodotti fiamminghi per l’altro, da riflessi e stimoli caravaggeschi. Il suo colore si fa più sobrio e controllato, seppur dalla distillata tavolozza nascano toni e accostamenti rari.

Il viaggio nel barocco prosegue sino alla metà del settecento. In questo momento si colloca anche la produzione ritrattistica di Alessandro Magnasco. Il pittore genovese, formatosi a Milano, con la sua impronta unica tradusse la drammaticità della pittura sacra del primo Seicento lombardo in declamazioni e spettacolo, con soluzioni nuove e aggiornate sui problemi della luce ed in contrasto con la sontuosa ritrattistica francesizzante dei pittori genovesi, pur non mancando pregiatissimi argenti e marmi preziosi.

Questo viaggio racconta di un epoca i gusti raffinati e ricercati, di una corrente artistica la parabola ascendente, esuberante ed innovativa, e di una città le sue magnificenze.


[1]  Furono sempre i letterati francesi ad usarla nell’accezione bizzarra di formale Diretta derivazione dell’enciclopedia francese J. J. Russo nel Dictionary delle Musiche, 1768.