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Prefazione Alice nel paese oscuro

A cura di Elena Midolo

Autore: Leonardo Torre

Coinvolgente e appassionante, l’opera di Torre incardina i tratti del thriller psicologico e si focalizza su un mondo invisibile e insidioso che è la rappresentazione di un fenomeno sociale contemporaneo, non ancora arginato. Lo scrittore, penna fantasiosa e realistica allo stesso tempo, si esprime con un codice comunicativo semplice e, paradossalmente, con una narrazione cruda, senza veli, con sequenze cruente, con significative sfumature psicologiche che disegnano campanelli d’allarme per i giovanissimi. Anche per gli adulti, in particolare per i genitori, spesso distratti o superficiali sulla responsabilità genitoriale. Per varie e differenti motivazioni, di difficile difesa, molti genitori non vigilano i minori o controllano poco dei loro dispositivi elettronici. Talvolta gli adolescenti (e non solo), desiderosi di essere al centro dell’attenzione di qualcuno o di andare oltre le regole o di mostrarsi coraggiosi nel superare i propri limiti o di appartenere a un determinato gruppo, si trovano coinvolti in challenge, ognuna con specifiche dina-miche, che li espongono a danni fisici permanenti (ad esempio con atti di autolesionismo) o, addirittura, alla morte.

Bisogna pur considerare che con il Covid 19 si è ampliata la fruizione di ambienti on line anche da parte di bambini e di adolescenti, per cui quest’opera di Leonardo ben s’incastra nel puzzle disordinato e nel clima dell’attuale realtà sociale, non solo italiana.

Inoltre, è da tenere presente che, in genere, il giovanissimo non percepisce le conseguenze negative di azioni (sue o altrui) che possono essere esiziali per il suo sviluppo psico-sociale, soprattutto quando non ha l’adeguata competenza digitale.

Leonardo Torre ha tratto ispirazione da “Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglie”, romanzo del 1865, di genere letterario nonsenso,  scritto da Charles Ludwige Dogson con lo pseudonimo di Lewis Carroll. Come la ragazzina Alice incuriosita da un coniglio cade nella sua tana e si ritrova in un mondo fantastico popolato da strane creature e costellato di paradossi e assurdità, così il protagonista cade in una tana e si ritrova nell’underground del dark web, gremito di personalità inconsuete. Dalla stanza in cui Alice percorre un lungo corridoio con tante porte fino a giungere a una porticina oltre la quale scorge un bel giardino, che vorrebbe visitare, sembra essere stata pensata la stanza virtuale in cui il protagonista si addentra e si avvia su un percorso con tante porte fino a trovare quella che conduce al gioco sul quale la sua curiosità si concentra e dal quale viene attratto. A differenza del fantasy di Carroll, Torre scava nel sotterraneo del virtuale e porta alla luce un pezzo di mondo che non si colloca ai margini dell’attuale società ma ha un posto ben preciso, dove la devianza ammorba una fetta di tessuto sociale, perlopiù giovanile.

Il protagonista, che è anche il narratore, s’imbatte in un personaggio che ha assunto l’identità del famoso Cappellaio del “Alice’s Adventures in Wonderland”, tant’è che propone al nostro adolescente il famoso indovinello per il quale Carroll non aveva pensato a una soluzione: Why is a raven like a writing desk?

Il comportamento del Cappellaio matto di Torre è tipico di chi ha turbe della personalità ma con un obiettivo ben chiaro: manipolare le menti altrui, attraverso challenge e la sua presenza ossessiva e inficiante delle capacità emotive ed emozionali dei giocatori.

Il protagonista, in seguito a gravi cambiamenti familiari, è in conflitto, ha sentimenti di disaccordo con se stesso e con il suo ambiente di vita, di incapacità, di inferiorità, di fallimento. Naviga nell’insidioso mare della solitudine. Percepisce alta la tensione emotiva.

Quali sono le sue reazioni ai pensieri di inadeguatezza, alla percezione del bisogno di uscire dal suo sottosuolo?

Come la sua mente, che dovrebbe essere indipendente dal corpo, è in esso inscritta?

Quando le sue funzioni cognitive giungono a una compromis-sione tale da ingannare se stesse, come se il suo cervello fosse soltanto un inquilino destrutturato del corpo?

Vittima di bullismo a scuola, il nostro protagonista giunge a una deprivazione ambientale, quindi si isola socialmente per affermarsi in una tipologia di società virtuale in cui un burattinaio applica delle procedure, in primis per catturare le sue vittime e successivamente per modificarne i processi di pensiero, la razionalità, e persino il vocabolario cognitivo e affettivo. Ciò al fine di schiavizzare le vittime del suo orrido e terrificante gioco psicologico.

Il Cappellaio matto di Torre è il burattinaio. Qual è il suo godimento? Forse dominare un corpo senza mente? No, sicu-ramente dominare una mente senza corpo e giungere all’apice del soddisfacimento egoico. Quasi un’apoteosi. Nel contempo il Cappellaio sfida se stesso, pur nella consapevolezza delle pro-prie forti capacità manipolatorie, mobilitando risorse interiori per coinvolgere l’adolescente in challenge macabre e perverse. Sicuramente ci sono dei grandi assenti nella struttura della personalità del burattinaio: empatia e affettività.

C’è, invece, un infinito bisogno del protagonista di mettersi alla prova per non essere considerato vigliacco, formalmente dal gruppo virtuale ma in sostanza da se stesso; bisogno di mostrare il suo lato più coraggioso e audace, di ambire a un certo tipo di successo sociale (che, vedremo, è solo virtuale), di fronteggiare insicurezze tipiche dell’età adolescenziale, dove il passaggio dalla fase infantile a quella adulta non è facile per chiunque.

Eppure il protagonista, nel suo atto finale, vive l’angoscia dell’idea della morte e, allo stesso tempo, il desiderio dell’ac-clamazione e dell’affermazione sociale – virtuale – implicita nel superamento della prova più difficile, che è quella di andare oltre ogni paura come condicio sine qua non per superare la challenge ed entrare nel coacervo dei vittoriosi. C’è una coesistenza fra paura immaginaria e paura reale, che si equilibrano nella credenza di un rapporto amichevole, forse finanche affettivo, con un personaggio – il Cappellaio matto – pensato, nella valenza suggestiva, come benefico, capace di annullare i disagi interiori, e che incita a salire i gradini di una considerevole evoluzione – via per la purificazione dello spirito – presentata come passaggio liberatorio, come idea di rinascita, di ritorno alla sicurezza e al valore.  Sotto un certo profilo il protagonista si rende conto di essere stato incanalato in un processo di soggezione psicologica ma il suo stato di frustrazione non gli consente di recuperare in toto le facoltà mentali, il buon senso. Al contrario: attratto dall’ambigua abilità persuasiva del creatore del gioco, entra quasi in una condizione di neutralità mentale che appare l’unica strada d’uscita dall’angoscia e la sola d’ingresso all’ultima e suprema azione suicidaria. Sì, azione suicidaria, perché l’istigazione ad affrontare l’ultima challenge è, in realtà, istigazione al suicidio.

Immorale e illegale.

Le sfide sono sempre esistite… Oggi si parla di challenge social, da quelle banali a quelle pericolose, a quelle del dark web. Capita che le challenge siano protagoniste anche su piattaforme, come YouTube, Tik Tok e Instagram, frequentate dai giovanissimi.

L’autore ci pone davanti a un reale pericolo: entrare nel dark web è parecchio rischioso, ha pagine spesso custodite in nicchie illegali protette dall’anonimato.

Leonardo non trae spunto soltanto dal fantasy di Carroll ma anche da challenge estreme che hanno instradato molti giovani sulla via del non ritorno, come la blackout challenge.

Chi è il protagonista? È colui che mette a nudo se stesso. È tutti i giovani fragili vittime di challenge ma anche di cyberbullismo. Chi è il Cappellaio matto? In fondo, è anche un bullo e non solo un istigatore, è anche attraente e attrattivo allo stesso tempo e non solo perfido e marcatamente perverso, è colui che fa intravedere al giovane la possibilità di essere il dominatore di se stesso e di riscuotere successo man mano che supera le tappe del gioco. È quasi un mentore, che induce il nostro protagonista a essere impavido, a mettersi in discussione con gli altri e con se stesso, a maturare la consapevolezza di una metamorfosi, della transizione all’“essere” adulto.

Purtroppo, è la modalità di sviluppo della personalità del protagonista, che, dopo drammatici eventi significativi nella sua giovane vita, si discosta dai canoni educativi e dai valori  morali socialmente individuati, a spingerlo sulla strada del dark web. È il giovane stesso ad affidarsi al Cappellaio matto, che rappresenta la dualità fra avventura e routine (in fondo,  fra il bene e il male). 

Oltre a proteggere i giovanissimi dai pericoli del dark web e delle challenge, quale altro messaggio dello scrittore potremmo percepire leggendo con attenzione questo libro? 

Ciò che contribuisce a costruire l’immagine di sé è l’esperienza sociale che entra nel vissuto di ogni persona, in particolare di ogni adolescente che, non più bambino ma nemmeno adulto, può vivere situazioni di insicurezza, di frustrazione, di assenza di autostima, di marginalità sociale et cetera. Un corretto sviluppo della personalità necessita di esperienze, positive o meno ma comunque costruttive, che non si acquisiscono con la sottomissione a persone, reali o virtuali, manipolatrici e subdole. L’autore dimostra di ben conoscere il mondo degli adolescenti e ha considerato quanto fragile possa essere la loro personalità in un momento in cui il rapporto con gli altri assume caratteristiche importanti per l’accettazione di sé in primis e poi per essere accolti nella società. Pertanto, l’interazione sociale ha una valenza non indifferente nella dinamica dello sviluppo della personalità di ogni adolescente. Leonardo ci mostra un processo di sviluppo di uno stato mentale parossistico mediante cui il protagonista crede di abbattere i limiti della conservazione psicologica e fisica con prove di coraggio estreme connesse all’autolesionismo che, paradossalmente, accrescono la sua attrazione verso le sfide proposte, ma in verità imposte, dal manipolatore virtuale. Ogni sfida superata è l’illusione di aver sfidato se stesso e aver vinto l’insicurezza, la paura, il dolore fisico. Gradualmente il protagonista giunge a una evoluzione: si sente più forte e, allo stesso tempo, apprezzato e stimato dal gruppo sociale virtuale. Il virtuale diventa la sua intrinseca realtà, il virtuale è percepito come metro di misura della debolezza e del coraggio, della disistima e dell’autostima, del valore e del disvalore. In questa tipologia di crescita, anche emotiva, si veste d’importanza una modalità, negativa nella sua accezione, che non apre la porta alla vita ma alla morte, psicologica e fisica. Quasi una regressione o una decadenza dell’io. Ecco la rilevanza del riflesso di una caduta nel buio, nel baratro, nel pianeta di challenge pericolose, nelle mani di manipolatori affettivi e psicologici che distorcono la realtà della vittima.

L’opera di Torre, più che una storia trasferita su carta, credo sia una lectio magistralis sui risvolti psicologici che accomunano challenge, vittime e burattinai. Anche un monito a non lasciare i giovanissimi in pasto al web, nello specifico al dark web, e a comprendere i disagi della loro crescita emotiva e del loro sviluppo psicologico nell’ambito familiare e, con maggiore accortezza, in quello sociale.                                                                                 Elena Midolo