Prefazioni a cura di Antonio Scarsella e Giovanni Pacella
PRIMA PREFAZIONE
Una storia da leggere tutta d’un fiato, quella scritta da Lucia, così come, forse è stata scritta. Particolare, fatta di cento, mille fili che si accavallano, rincorrono, quasi come quelli dei gomitoli di lana che le donne di una volta, sugli usci delle case di paese, realizzavano lavorando la lana. Loro ne facevano maglioni o sciarpe, lei, invece, li fa diventare vite sballottate in un continuo susseguirsi tra dolore e felicità.
Le nonne e con loro gli affetti e segreti familiari, ancestrali (che costituiscono la “materia” di cui ogni essere umano è fatto e che nell’autrice è ed è stato sempre forte, determinante), li lavoravano, danno loro forma e vita. Come “Moire bonarie” tessevano, lavoravano la lana, ma c’era sempre un gattino impertinente pronto a srotolare i gomitoli che le costringeva a ricominciare da capo. Così come nella vita di ognuno di noi ci sono avvenimenti, fatti, che condizionano il nostro procedere costringendoci, spesso, a riannodare i fili della nostra esistenza.
Avviene anche a “Lucilla”, la protagonista del suo racconto. Nata da un filo di lana sempre sul punto di spezzarsi, di essere tagliato dai vari o dalle varie Cloto, Lachesi e Atropo su cui, fin dalla nascita, inciampa nel suo cammino.
Ma, alla fine, le donne di paese, trovavano, sempre, il “bandolo della matassa”… e la loro tessitura continuava e continua ancora e, con loro, è la vita che prosegue il suo corso, perché a guidarla è quella
forza invisibile e interiore che le donne, in ogni epoca anche nel terzo millennio, hanno dentro di loro. Quella forza si chiama amore per la vita. La stessa di cui sono intrise le pagine del suo racconto.
Un’avvertenza finale. All’inizio, nel leggere questo libro, potreste avere la sensazione di perdervi, tra i fili delle storie che si intrecciano. Abbiate pazienza e coraggio, alla fine sarete premiati e vi ritroverete, voi stessi, non più solo lettori ma co-protagonisti, a “riannodare” i fili della vita, quelli presenti nel racconto e… quelli che, come in uno specchio, vi riguardano.
Antonio Scarsella
SECONDA PREFAZIONE
Com’è vero, reale, franco, liberatorio il parlar con se stessi. Quando leggo un libro mi chiedo sempre quanta parte di verità autobiografica ci sia in ciò che scrive l’autore e quanta appartenga al frutto della fantasia letteraria; sì, perché un pezzo di noi stessi lo lasciamo sempre, inevitabilmente!
Accendiamo il wireless della connessione mentale e… scriviamo per raccontarci, forse, non c’è nessuno più solitario di uno scrittore, un poeta, un musicista, un artista… ma il lettore non bisserà mai l’intero senso del messaggio.
Il saggista francese Paul Bourget insegna che “Bisogna vivere come si pensa, se no prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto”. Questo gioco di parole, credo, sia fondamentale per introdurci nello
spirito dell’introspettivo libro di Lucia Fusco.
Lucilla, la protagonista, ha veramente vissuto come pensava? Si apre a sé sulle strade dei suoi pensieri, la sua storia, il suo lui, crudele ed egoista, infatuata di un amore in cui aveva creduto, sperato ma che le lascia solo ceneri per un rapporto violento, tormentato. Ormai libera sciacqua i suoi ricordi nell’acqua dei rimpianti, con la schiuma dei dispiaceri, nel balsamo dell’inquietudine… gli abbandoni subiti fin dalla nascita, l’abbraccio dei genitori adottivi che spariscono e ricompaiono dopo anni, lo spettro di un uomo marcio; negli alti e bassi Lucilla combatte, eroina di se stessa, per sopravvivere, evidentemente è proprio questo il senso di “Parola mia d’amore”.
Non arrendersi mai!
Le amare lacrime costituiscono il foglio sul quale la Fusco disegna il racconto, vergando spesso con rabbia, tratti e dialoghi, non sempre in dolce stil novo, dei suoi personaggi. Nelle frantumaglie d’una fa-
miglia, dove odio e dolcezza si alternano come onde nell’agitato mare, il lettore viene catapultato nella miscellanea della vita dove non sempre è oro ciò che luccica. È, a mio parere, un libro denuncia sulla violenza fisica e verbale sulla donna, una lettera aperta vestita da romanzo, un libro da leggere pian piano, un libro che non si fa dimenticare per il corpo e il senso che in esso racchiude!
Giovanni Pacella (Spaghettazzo)