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Utopia

di Francesca Ghiribelli

Sentirsi dire “non andare” è utopia, provare a lasciarsi “volare” è utopia e dirsi ti amo, a volte, diventa utopia. Librare le ali di un affetto è un’utopia; sognare dentro al letto è utopia. Far nascere il mondo meraviglioso è utopia; prendersi la mano per poi allontanarsi con il timore di amare troppo vicino è utopia.

Che dirti? Mentre il cielo si scolora e il bacio di una nuvola accarezza le coltri del pensiero, anche quella è utopia. Sussurrarsi piano piano di voler scappare è l’utopia di una corsa in mezzo al mare. Dentro di me vorrei dirti tante di quelle cose, e l’utopia di un raggio di sole brucia le parole. Cosa vuoi che sia, se la dolcezza di un istante viaggia sui binari del sognante e fa diventare un’utopia la realtà stancante?!

Cosa scrivere su questo foglio? Quando non ho ancora scartato l’utopia di questa vita vera che canta alla giornata una serenata, che asciuga una fronte già sudata.

Vorrei cantare una canzone che musicasse i sorrisi di un bambino, la sola utopia per disegnarti nel mio giardino. Quanti occhi hanno guardato oltre la soglia del tempo per raggiungere la fantasia anche solo per un momento!

Quanti destini hanno sfidato l’improvviso pianto della pioggia, quando l’arcobaleno sembrava ormai arrivato… chissà se un giorno potrò chiamarti l’utopia del credere che qualcosa esista oltre la fede, che questo cielo possa scrivere un passo di infinito nella storia del tuo paradiso.

Non so come altro definire questa vita che dipinge lacrime e sorrisi sui muri dei rimpianti e fra i momenti importanti, vorrei soltanto vivere in eterno il coraggio di poterti rincontrare ancora tra i capricci del tempo, tra le rose di maggio e i freddi sospiri d’inverno, mentre l’autunno intingerà di rosso l’argento vivo di due guance che l’estate chiamerà amore.

L’amore per questa “utopia”, che ti farà sentire per sempre mia, come il cuore fa con la poesia.

Francesca Ghiribelli

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65’ Roma Art Festival

di Martina Paolantoni

Successo di pubblico all’inaugurazione del 65’ Roma Art Festival oggi 25 maggio, l’evento di primavera che
porta gli Artisti con le loro opere in piazza di Spagna fino al 29 maggio 2022, ingresso gratuito. Il taglio del nastro è affidato a Gianni Testa, accompagnato dalla scrittrice Martina Paolantoni (Arte e Territorio) e gli artisti presenti al vernissage che il maestro ha voluto accanto a se. Testa è uno degli esponenti del panorama pittorico Italiano. Il suo nome è legato a questi luoghi dove è cresciuto si è formato negli anni 60 e 70, eleggendo Roma e in particolare le Vie del centro a palcoscenico delle sue vicende esistenziali ed artistiche.
Gli artisti avevano già esposto in precedenza in Piazza di Spagna. Dopo una lunga pausa, da qualche
anno, l’uso della piazza è stato nuovamente accordato dal Comune di Roma per eventi di rilievo come questo.
Tra gli ospiti galleristi e curatori, la critica Orsini e molti appassionati. Lucilla Labianca organizzatrice dell’evento e presidente dell’Associazione Art Studio Tre cita: “In questo tipo di esposizione si ha un contatto diretto con il pubblico, questa è una grande opportunità per tutti gli artisti che potranno raccontare le loro opere e le loro tecniche.
Le mostre en plein air hanno la caratteristica di far vivere al pubblico un’esperienza diversa da quella vissuta in galleria.
Sono stati scelti più di trenta Artisti di diversa provenienza nazionale e internazionale per esporre le loro opere in questa splendida cornice scenografica di piazza di Spagna tra la fontana del Bernini e le Carrozzelle, che solo la Città Eterna sa regalare.

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Il romanticismo è il sogno esaudito da coloro che amano

di Francesca Ghiribelli

Quante volte abbiamo sognato l’arrivo del principe azzurro, di abitare in un castello fiabesco e vivere sempre felici e contenti? Penso lo abbiano fatto anche le persone meno smielate di immaginare una vita senza problemi, dove il bene e l’amore siano gli unici e veri regnanti in eterno.

Io però vorrei rovesciare per un attimo questo specchio “disneyano” e cercare di riflettere quella stupenda favola nella vita reale: è ovvio che non ci siano principi celestini e perfetti in sella a un cavallo bianco pronti a salvarci in ogni momento di difficoltà oppure un meraviglioso castello fatato dedito a difenderci da qualsiasi pericolo esterno, ma se ci soffermiamo anche solo per un istante possiamo pensare a quanto possa essere perfetta nella sua imperfezione la vita, se soltanto la guardassimo per come deve essere veramente vissuta. Le mie sono parole semplici e arrivano dal cuore e dall’anima.

La vera radice del romanticismo è quel “male di desiderio” attraverso il quale un giorno vorremmo staccarci dalla realtà per far diventare l’irraggiungibile infinito del mondo tangibile anche solo per un attimo. L’immensità dell’universo non si trova conquistando il mondo, ma riuscendo a carpire i messaggi che il cuore scrive all’anima e viceversa, soltanto così potremo veramente comprendere lo scopo che abbiamo su questa terra; infatti non dovremmo cercare il nobile e perfetto principe azzurro della nostra vita o l’arcano castello che alla fine ci avvolga nella sua preziosa gabbia dorata senza pericoli, ma dobbiamo soltanto capire dentro di noi cosa vogliamo e soffermarci molto di più ad apprezzare le piccole cose che ogni giorno l’esistenza ci regala. La stretta della piccola e fragile mano di un bambino, il bacio premuroso e affettuoso di un madre e di un padre, lo sguardo antico e saggio di un nonno e l’abbraccio costante di chi si ama sono davvero l’autentico romanticismo che non ci accorgiamo di avere ogni giorno, ma che abbiamo la possibilità di avere al nostro fianco: sta a noi godercelo e farne tesoro continuamente.

È inutile cercare l’impossibile, quando esso è nascosto dentro ciò che in ogni attimo noi stessi possiamo far diventare possibile. Il romanticismo di questo mondo è facile da trovare: basterebbe riuscire a cogliere l’occasione giusta per dimostrare agli altri e a sé stessi l’amore che anche soltanto con un gesto o con una parola potremo essere capaci di dare. L’inchiostro del romanticismo e di ogni forma di sentimento sta nelle nostre mani, resta a noi scegliere di usarlo con le persone che ci amano e che amiamo a nostra volta per colorare la vita di quella magia con cui “l’apparente lontananza e irraggiungibilità dell’infinito” ci fa sognare.

Francesca Ghiribelli

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L’eredità morale di Giovanni Falcone

di Martina Paolantoni

Le poche parole che seguono, non vogliono essere l’ennesimo ricordo di due persone che hanno lasciato il segno, bensì una raccolta di pochi pensieri di un cittadino del Mondo. Definirlo Italiano o Europeo sarebbe riduttivo, non per elogiarli ma solo perché è giusto ricordare che il modo di approcciare alla “materia oscura”, è stato portato, insegnato e apprezzato anche oltre oceano. Questo, permettetemi di dirlo con orgoglio e senso di riscatto nei confronti di chiunque giudica il Nostro Paese e Popolo marci. L’FBI ancora elogia Falcone con foto e monumenti nella sede centrale: oltre a essere un coraggioso avversario della mafia è stato uno dei primi sostenitori della cooperazione nella lotta al crimine organizzato. Probabilmente solo Uomini nati e cresciuti in quei luoghi, che conoscono gli sguardi, i gesti, le parole e molto più acutamente i silenzi, potevano avere le capacità e menti ancor più raffinate dei loro avversari per sciogliere il bandolo della matassa. Certo, farei un torto a ricordare che abbiano fatto tutto da soli, come nelle migliori storie la vittoria è di squadra. Giudici, forze dell’ordine, persone fedeli a valori e ideali, di qualsiasi paese pronte a rinunciare a qualunque cosa, anche al bene più caro che ci è stato donato. Nel ’92 da bambino faticavo a capire cosa fosse successo. Dopo tanti anni penso sia necessario scavare e andare oltre le stragi che fanno parte della Storia. Scavare non per portare alla luce la verità storica e/o processuale, o più semplicemente per non dimenticare. Scavare dentro ognuno di noi. Da giuristi si potrebbe restare colpiti come Falcone e Borsellino abbiano cambiato non solo il modo di sensibilizzare il resto del Mondo al fenomeno comune della mafia, ma anche riguardo l’innovazione del diritto penale e della procedura penale: creare Istituzioni, dipartimenti all’interno del sistema giudiziario e delle forze dell’ordine e prevedere leggi ad hoc. Chi ha costruito tutto questo con loro racconta che all’inizio degli anni ’90 non avevano nulla, solo un pezzo di carta per progettare la DIA. Tutto questo ormai è storia, ci hanno lasciato le basi, l’eredità per migliorare e affinare il lavoro che non sono riusciti a concludere, ma questo riguarda soprattutto gli “operatori” del settore. Ma chi non fa parte di questa nicchia, su cosa può ragionare e scavare? “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. Sono parole che personalmente tuonano ancor più forti di qualsiasi sentenza di condanna di delitti efferati. Non siamo in Tribunale, non sono rivolte all’imputato ma a tutti noi. Questa è l’eredità che ci accumuna e deve rappresentare la nostra bussola quotidiana. Probabilmente, il fine del sacrificio di Uomini come loro non risiede solo in sentenze di condanna passate in giudicato nei confronti del crimine organizzato, ma specialmente nella speranza di smuovere gli animi ricordando che le persone passano ma i loro ideali continueranno a camminare sulle gambe di altri.

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FESTA DI PRIMAVERA  AL FLEMING

PER VIVERE INSIEME IL QUARTIERE

di Martina Paolantoni

Al fiorire della primavera fioriscono le iniziative per la mente e per il corpo. Domenica 14 maggio dalle 10 alle 13 nel cuore del Fleming, in via Nitti, eccezionalmente chiusa al traffico, si svolgerà la Festa di Primavera organizzata dal Municipio XV.

Una mattinata tutta dedicata al quartiere, un’occasione per ritrovarsi e per rivivere le strade del Fleming con appuntamenti, attività e iniziative per i più giovani che coinvolgeranno anche famiglie e residenti del quartiere” dichiarano gli Assessori alla Cultura e al Commercio del Municipio XV Tatiana Marchisio e Tommaso Martelli.

La scuola media I.C. Via Nitti spalancherà le sue porte ad alunni, ex alunni e cittadini orgogliosi di prendere parte alle molte iniziative previste: laboratori musicali ed artistici, caccia al tesoro, dimostrazioni e corsi sportivi di basket, boxe e aerobica ed un torneo di calcetto dedicato a Mia Neri.

Ma soprattutto uno spazio dedicato ai temi ambientali.

Oltre agli abitanti del quartiere, sono state molte le associazioni culturali e di volontariato coinvolte: dal Comitato Municipio XV alla Croce Rossa Italiana, il Corpo Italiano di San Lazzaro il Comitato di Quartiere “Il Filo del Quartiere”.

Partecipare per incontrare. Incontrare per valorizzare. Valorizzare per riscoprire. Questo è lo spirito della dimostrazione, che troverà certamente l’apprezzamento dei residenti e risveglierà un senso di comune cittadinanza.

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LA MUSICA DI VERDI E WAGNER: TRA MITI, FIABE ED ESOTERICI MISTERI

di Martina Paolantoni

Ricard Wagner compositore e drammaturgo tedesco, protagonista del romanticismo e fondatore del linguaggio musicale moderno, volendo esprimere il suo particolare punto di vista sulla genesi dell’arte musicale, scrisse: “I grandi compositori devono nascere in Germania morire in Italia”.
E così fece: nacque a Lipsia, battezzato nelle oscure acque ancestrali della mitologia teutonica, e concluse la vita terrena a Venezia; qui compose, tra l’altro, Tristano e Isotta, dopo aver vagabondato per il Bel Paese, ispirandosi alle più belle città italiane, come sfondo alla scenografia delle sue opere.
Ricordiamo l’opera Parsifal, concepita nella Villa Rufolo di Ravello, dove il compositore si rifugiava per fuggire dalle nebbie di Bayreuth.

A Roma, per seguire le tracce di Wagner, partite da Piazza del Popolo, lasciatevi a sinistra la Basilica di Santa Maria del Popolo, gelosa custode delle opere del Caravaggio, ed immergetevi nel Tridente. Non dimenticate di onorare Goethe e Schiller che vissero a Piazza di Spagna sul finire del settecento come ricordano le incisioni in fondo alla scalinata e proseguite per l’aristocratica Via del Babbuino. Alzando lo sguardo un’effigie in marmo su un palazzo farà la spia sul luogo scelto come dimora da Wagner nel 1875, a pochi passi dal Conservatorio di Santa Cecilia, che proprio in quell’anno veniva fondato. Un periodo florido per la cultura, in cui Giuseppe Verdi e Richard Wagner accentrarono la musica, il teatro e l’opera.

 L’uno, con insuperabile talento ed immediatezza, tradusse nel ricco linguaggio musicale le esperienze maturate in Germania ed in Francia, dando impulso ai primi tormenti del clima culturale che porterà ai movimenti risorgimentali.

 L’altro, animato da una straordinaria vocazione, capace in varie musiche pianistiche e orchestrali di dar prova di quanto proveniva dalla grande tradizione settecentesca, tendente al cromatismo, e con un forte spirito generatore di temi sociali ispirati all’intero dramma umano: come un soffio vitale, originario, che poi si dilata. Fulgido esempio è il Requiem: che inizia con un grido! Si ribella al destino, traduce in musica esplosiva la domanda posta da Leopardi: “…questa è la sorte delle umane genti?… Non una messa da morto. È una messa da Requiem come “morta” è la “Canestra di Frutta” del Caravaggio, in cui la natura nei segni di maturazione dell’uva e di marcescenza della foglia non è mai stata più viva.

Nelle aspirazioni wagneriane la creazione di un nuovo dramma musicale su modello estetico della tragedia greca, essenza di musica e poesia drammatica. Ai primi appunti poetici e musicali, si mescolano riflessioni e saggi teorici e critici ed opere ispirate ai miti germanici del XIII secolo. Nel suo Tristano e Isotta come nel Parsifal il ciclo della Tavola Rotonda e del leggendario Gral si fondono con elementi magico-religiosi, che fanno vivere i protagonisti oltre la realtà sensibile. In questo luogo dei sogni il compositore dà voce alla natura, alle passioni e soprattutto il leitmotiv: il tedesco Middle, il πάϑος, la condivisione del dolore. Due incontri, infatti, segnarono la vita di Wagner. Il primo con Mathilde Wesendonck, divenuta sua musa ispiratrice e grazie alla quale conobbe L’infinito” di Leopardi. Il secondo quello della filosofia di Zheng, essenza esoterica del dolore. Così decisivo da impregnare la sua opera e far approdare Wagner al rapporto tra religione ed Arte. Da quel momento non propose più i miti, ma ricercò in essi la redenzione del fallimento dell’uomo, lasciando all’Arte il ruolo della salvezza.

Parte della visione europea sul fine dell’esperienza umana terrena è permeata dalla filosofia parmenidea, che traspare anche in Wagner, secondo la quale l’essere nasce buono o cattivo, e così resta. Altra visione, più positiva e vicina alla possibile redenzione dai propri errori, è quella eraclitea, che ravvediamo in Verdi, che vede l’uomo modificarsi durante la vita, assecondando la propria indole, ma esprimendo la libertà di divenire quello per cui sente di essere al mondo, o di tentare di farlo anche a costo della vita.

Il successo di Wagner è stato comunque ricordato nel convegno del 30 aprile u.s. a Roma alla Sala della Musica di Musicopaideia a cura di “La Voce Wagneriana. L’Associazione, nata dalla volontà di Luca Maria Spagnuolo (ideatore dell’iniziativa culturale Dante per tutti), che, è volta a ricercare e tradurre in italiano le opere ispirate a Wagner alla stregua di fonti storiche e letterarie ed annovera tra i soci la studiosa Cambria, il Prof. Camparsi, esperto di estetica e di filosofia tedesca, Boghovich musicologa, germanista. Cita Boghetich: “Wagner è un viandante senza meta, in rifugio da sé stesso“. Un pellegrino che ha trovato rifugio nelle lettere di San Paolo al Vangelo di Giovanni, da Shakespeare a Goethe, che hanno plasmato un’intuizione eccentrica ed una vasta cultura.

 Tra fiabe, erratici miti ed esoterici misteri le anime di Tristano e Parsifal vibrano nelle note di Wagner. E se tal volta la parabola wagneriana ha subito delle inflessioni, occorre conoscere l’origine delle idee dei commentatori. Poiché la comunicazione sconta il pregiudizio della mela di Biancaneve dove la metà è velenosa e l’altra no; e tra dire che i suoi drammi sono un’opera di evangelizzazione tedesca, idea cara al movimento ariano, e dire che sono la mappa per una inizializzazione, e quindi un tentativo di inclusione, la verità sta nel mezzo, forse. Ma il mezzo è un posto scomodo in cui stare, poiché la posizione mediana fa appello alla razionalità invece che l’emotività, che è la forza che scatena la necessità di esprimere, attraverso le arti, le passioni umane.

Il wagnerismo divenne una vera e propria mania in Germania e con la lingua tedesca, la lingua dei suoni, la musica del grande compositore edifica nel cuore del popolo germanico un sentimento di appartenenza, che assolve lo spirito di esclusione dei diversi, con un tentativo di inclusione nel godimento comune della bellezza nell’arte della musica.

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“1953; quarant’anni dopo” Rosemy Conoscenti

Intervista a cura di Elena Midolo

Rosemy Conoscenti, ex docente di Storia delle religioni, da molto termpo ha la passione per la scrittura e ha pubblicato diversi romanzi. Con ATILE Edizioni ha recentemente pubblicato il romanzo a sfondo storico “1953; quarant’anni dopo”. Ma conosciamo un po’ la scrittrice Rosemy Conoscenti, che si racconta nella nostra intervista.

D. Quando e perchè hai iniziato a scrivere?

R. Io praticamente scrivo fin dalle elementari. A scuola amavo quando la suora ci faceva fare i temi. Il mio banco era vicino a una grande vetrata. Io guardavo fuori prendendo ispirazione da tutto ciò che mi stava intorno. Ero felice quando la suora leggeva a tutta la classe ciò che avevo scritto. In seguito, per un po’ di tempo, ho affidato le mie intime sensazioni alla poesia. Soltanto dopo un viaggio a Termoli, ispirata dal luogo, è rinata la mia voglia di scrivere libri, di mettermi in gioco e così è stato.

D. Da dove nasce la tua ispirazione?

R. Per quanto riguarda i miei primi tre libri dall’esperienza di vita, dai viaggi e dai miei più cari ricordi di un’infanzia felice e appagata senza tralasciare il mio amore per Termoli.

D. In quale momento della giornata preferisci scrivere?

R. Amo scrivere di notte, perchè il suo silenzio e il suo fascino sono per me fonte di ispirazone. Altre volte mi diletto a scrivere al mare, seduta sulla spiaggia o su di uno scoglio, allora in questo caso prediligo farlo la mattina.

D. Vieni da una famiglia di scrittori o di poeti?

R. No, anche se i miei genitori si dilettavano, o almeno provavano, a scrivere poesie.

D. Ti è mai successo di avere il blocco della pagina bianca? Come l’hai superato?

R. Non spesso. Più di un blocco si tratta di una mia particolare mania: pensare in tutt’uno non solo alla trama e ai personaggi, ma anche ai dialoghi e alle descrizioni dei luoghi archiviandoli nella mente. Succede così, a volte, che, nel momento di mettere per iscritto il materiale, mi prende una specie di “sconforto” derivante dal “non so da dove cominciare!”, allora me ne vado a letto ripensando al tutto, mi alzo, prendo carta e penna e magicamente tutto torna.

D. Qual è l’ultimo libro pubblicato? Di cosa tratta?

 R. L’ultimo libro si intitola “Angel”. E’ la storia di una nobile rampolla inglese che intraprende un viaggio verso il Brasile invitata dagli zii emigrati tempo addietro. Questo viaggio, i nuovi incontri, lo “scontro” con la cugina Fiona, la lontananza da casa e dalle sue abitudini, la porteranno a prendere una decisione fondamentale per il suo futuro.

D. Di cosa tratta il libro che hai pubblicao con ATILE Edizioni?

 R. Il libro pubblicato con ATILE Edizioni è il seguito di “Angel”. Un viaggio attraverso quarant’anni di vita, di storia, di guerre e di innovazioni, di maturazione personale del personaggio e, perchè no, di pentimenti.

D. Cosa vuoi comunicare con il tuo libro?

R. Quello che scrivo, sia a carattere biografico che in forma di romanzo, non ha particolari pretese. Mi piace pensare che attraverso ciò che scrivo il lettore si rilassi e viva veramente, con i personaggi, i luoghi e la storia. Ogni libro, così come ogni opera d’arte, può essere interpretato e vissuto in maniera e modi diversi da ciascuno di noi.

D. Perchè i lettori dovrebbero leggere il tuo libro?

R. Ritengo di poter, in qualche modo, ribadire il concetto espresso nella domanda precedente. Immergersi totalmente nella trama e vivere in prima persona le gioie e i dolori e le situazioni dei personaggi. Ciascun lettore sceglierà con quale personaggio interagire, magari riconoscendosi in esso.

D. La persona che ha creduto di più in te?

R. In primis la mia cara amica Gabriella Fantin, che mi ha letteralmente spinto verso la pubblicazione del mio primo libro, sponsorizzando in seguito la mia seconda uscita; mio marito, che mia aiuta nella stesura dei testi battendo al computer in vece mia. I miei tanti amici, la stima e le recensioni positive dei miei lettori, hanno fatto il resto.

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Fra i petali di una poesia…

di Francesca Ghiribelli

Variopinti intarsi di memoria riaccendono la voce di un senso; sembrano tanti piccoli coriandoli di un tramonto che sfamano l’ombra di un rimorso, e se sto in silenzio mi ritrovo a passeggiar nel vento, dove i fili di una lontana primavera pervadono il mio pensiero.

Mi intriga la lettura di questo verso interiore che riscopro nella pagina, su cui il cuore fa da segnalibro all’anima; scandisco i respiri sulle onde di un mare che ha liberato tempesta nei misteriosi messaggi in bottiglia che ho inviato al cielo.

Sono naufraga di una bolla di sapone che il sole trasforma in vetro, imprigionando la mia ispirazione fra le timide labbra di un amore narrato sottovoce; sono zingara di un infinito viaggio orfano di meta, ma la magica creazione di un tuo arrivo mi desta, facendo restare accesa una stella.

Quel mitico astro inconsapevole di futuro e passato che vive uno straordinario presente: l’attesa di una tua rima impigliata tra le dolci arpe di un usignolo, il suo memore incontrarsi con la vita e il suo affascinante morire sul foglio, dove rinasce ancora più preziosa di un diamante.

Mi fai credere che sia io a intessere gli orli del tuo essere con la candida orma del tuo lenzuolo, mentre cerco soltanto di impreziosire la tua veste dei colorati bottoni che le nuvole rubano all’arcobaleno; sorprendendomi ogni volta al tuo fianco intraprendo un nuovo percorso e ti sento indelebile tra i confini del tempo.

Una parola la scrive il cuore, mentre l’anima inconsapevole firma segretamente quella pace fatta di silenzio tra realtà e sopravvento… gli occhi sorridono della gioia che soltanto la fantasia può inventare e custodisco gelosamente questi umili versi scritti sul tuo taciturno pazientare.

Adesso, fra le gelide braccia della neve… due curiose rondini un po’ imbarazzate giungono in arrivo, mentre nel frattempo rileggo ciò che è stato scritto fra i petali di una poesia.

Francesca Ghiribelli

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L’ARTE SALVAGUARDIA DELL’UMANO

di Martina Paolantoni

 Interessante focus sul futuro dell’Arte si è tenuto a Roma, alla galleria Sempione, alla presenza dei maestri Ennio Calabria, che ha guidato l’incontro, Sandro Bini, Ezio Farinelli, Gianni Testa. Una tavola rotonda arricchita dal prezioso contributo di molti artisti –Francesco Astasio Garcia, Maria Grazia Bomba, Marco Coppola, Stefania Pinci solo per citarne alcuni- oltre agli addetti ai lavori Rita Pendolesi, responsabile dell’archivio storico di Ennio Calabria, la critica Ida Mitrano, scrittori, politici, psicoterapeuti, giornalisti, musicisti, rappresentanti di associazioni culturali. Molti i temi affrontati dalla pittura del beato Angelico al taglio di Fontana per capire il ruolo dell’artista e dell’Arte nella salvaguardia della coscienza sociale dopo la pandemia. E rispondere a quali sono le prospettive per l’Arte. Quali le vie percorribili e che ruolo hanno i social nell’avvicinare i giovani alla pittura?

In questi ultimi due anni si sono moltiplicate le espressioni creative: abbiamo cantato dai balconi; dipinto grandi bandiere con le impronte colorate dei nostri bambini; visitato musei stando seduti sul divano; seguito tutorial di pittura; guardato su un tablet quadri della “grandezza di un francobollo” – ironizza il politico ed appassionato di pitturaRoberto Chiappini. Ma tutto è Arte?

  Ma dopo questi anni di pandemia manca una definizione di Arte; manca la critica che scopra la relatività e la necessità di misurarsi con i limiti. Cita il maestro Beni: “Manca nei  giovani artisti l’interrogarsi sulla verità che li spinge a creare in un mondo”.

In un mondo in cui siamo accucciati nel visibile, nell’apparire; l’Arte, espressione dell’uomo, è stata vittima della velocità sotto il torchio della tecnologia. Tiaziana Caroselli, psicoterapeuta, imputa la causa di questa crisi al modo di vivere caratterizzato da una velocità. Certamente la velocità è una delle cifre della nuova arte. D’altro lato la velocità produce una stasi e l’uomo è rimasto paradossalmente paralizzato. Ci sentiamo figli ma la vita ci richiede di essere padri. E la realtà non è quella che immaginiamo, ma quella che accade mentre viviamo.

Come ogni tavola di confronto non sono mancate le divergenze, che alimentano il dibattito e la riflessione. Cita Danilo Mestosi, giornalista: “Tutti si sentono artisti. Ma l’arte pittorica è una disciplina”. È pur vero che l’Arte spesso ha delle manifestazioni inedite, precisa Calabria, evocando Fontana che nel suo taglio era avanti rispetto all’umanità. Si pone il problema, semmai, di definire in che modo una dimensione imprevedibile diventa organica in un progetto.

Dal canto loro le arti tradizionali hanno perso mercato, si pone il problema di recuperare mercato, senza scongiurare l’opposto: l’Arte diventi merce, valutata indistintamente dalla sensazione che produce nell’osservatore e quotata al pari di una opzione sul mercato monetario. Stretti in questa morsa  gioca un ruolo fondamentale l’autore. Cita il maestro Beni: “Chi osserva il quadro vuole sentire le emozioni che solo l’autore può trasmettere”.

 Per aprire una finestra sul futuro, dunque, occorre da un lato contestualizzare le vicende del tempo corrente, dall’altro affidare la risposta a chi sente l’arte come spinta endogena incondizionata,  anelito vitale, una necessità. In tal senso cita il maestro Calabria:l’Arte e rendere visibile l’invisibile”.

Se è vero che l‘’Arte non muore mai, come- Cita il maestro Testa- È sempre viva in qualsiasi circostanza anche nei periodi più brutti si risolleva”. E anche vero che la situazione pandemica ha cambiato anche la salvaguardia del reale dell’Arte, con il rischio di modificare il rapporto di causa effetto. Sta nascendo una nuova soggettività, il calore è quello che sento non più quello che segna il  il termometro; la collettività si va unificando e la coscienza intellettuale non si pone più certi problemi trascendentali che davano vita all’opera. L’Arte oggi deve riacquistare la responsabilità dell’identità umana e diventare qualcosa di cui non si può fare a meno. Tornare ad essere quel riverbero di una spiritualità vaga ma profonda, memoria permanente dell’identità umana.

Perciò mostre ed incontri come questi sono momenti di crescita ed avvicinano gli osservatori all’opera. Momenti di riflessione.  Cita il maestro Coppola: “Un  dibattito per salvaguardare la sopravvivenza dell’artista come figura centrale”. Ma anche per rilanciare la cultura e fare il punto della situazione sulle forme e certi meccanismi della socialità che ora i giovani vogliono tornare a vivere, cercando una collaborazione con il web che in questo periodo di crisi ha fornito un utile, e per certi versi necessario succedaneo delle compresenze dal vivo ed agli eventi.

Vogliamo concludere questo articolo con le parole del maestro Astasio Garcia il quale per spiegare come far venire ai giovani la voglia di Arte scomoda Saint-Exsupéri:Se volete costruire una nave non prendete degli operai insegnato loro come tagliare il legno, ma fategli venire voglia del grande mare!”

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Io non sono “scrittore”

di Francesca Ghiribelli

Io non volevo far lo “scrittore”, volevo solo usare il cuore. Non volevo scrivere rime gaudenti per accender il cuore di tormenti. Non volevo superare l’infinito scrivendolo in un rigo. Non volevo assaporare le stelle immaginando i loro occhi sulla tua pelle; non avrei neanche voluto sentirti mio, caro foglio, perché se ci penso e ti scrivo non voglio far ritorno.

Sì, non voglio far ritorno nella reale circostanza di un mondo che non vede più in là del suo sogno.

Se soltanto tutti vedessero ciò che vedo io, mentre il sole va e torna, mentre osservo la luna che mi parla nell’assonnato risveglio della notte, mentre tutto nella vita scorre.

Scorre il fiume, l’anima respira e muore, i capelli crescono e cadono, il talento incontra l’occasione oppure scivola via dietro un portone, ma un “per sempre” scritto agli angoli del mondo per me diventa tutto. Un limitato infinito di due parole scritte e amanti dello stesso uomo e della stessa donna, mentre tutto il resto è sordo e non ascolta. Io invece son qui che ti sento, piccolo grande battito di luce dalla voce fioca, che tarda ad arrivare per la troppa paura di cominciare. Ma io inizio e non mi dai pace finché non trovo la giusta sintonia che le sonore risa delle sillabe cercano nel vento dei ricordi. Non ti accorgi del soffice manto, con cui mi stringi al tuo fianco e dove io affondo con incanto. Non voglio chiamarti “scrittore”, dolce e abbandonata anima di sogni attaccati all’amo di un giorno, perché non è soltanto un giorno, quel momento in cui mi stai accanto senza chiedermi niente, ma rivesti ogni mio “forse” di “sempre”. Soltanto un mistico silenzio animato da un sorriso sfuggente che si chiama ispirazione.

Sublime sospiro di serena ombra, dove riscopro il sole nascosto in me. E lì divento re di quella radura, in cui non c’è fame, non c’è guerra, ma c’è soltanto pazienza.

Non sono “scrittore”, non sono “paroliere” né “poeta” o “scribacchino”, so soltanto che la ferma penna che stringo mi fa tornare bambino. Perché non serve un mondo di scrittori, letterati o saccenti specializzati, qui abbiamo bisogno soltanto di occhi veri e cuori sinceri. Di chi non ha timore di parlare con la dolcezza di ieri e di toccare con la tenerezza del domani.

Ecco, io riesco a farlo scrivendo. E io ti bacio, adorato foglio, affidandoti i miei dubbi che tu leggerai certezze.